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Tutti i no che bloccano le rinnovabili in Italia

by Eduardo Lubrano
23 Marzo 2022
in 2030, Business, Energia, Primo Piano
rinnovabili

@pixabay - ELG21

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Tutti i no che bloccano le rinnovabili in Italia. All’inizio in redazione avevamo un’idea su come impostare questo pezzo. Poi la chiacchierata che abbiamo fatto con una persona che ci ha raccontato tutto sulla questione del perchè un impianto eolico necessita di tanto tempo per iniziare a produrre energia, ci ha fatto cambiare idea. Ed abbiamo provato a dare una risposta concreta ad otto anni di ritardi.

Cominciamo dai dati. L’Italia ha bisogno di circa 300 Tetrawatt l’anno (mille miliardi di watt). Ma è una cifra che secondo ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile, è in aumento. Circa il 90 per cento di tutta l’energia del paese la produciamo noi, il resto lo importiamo.

I dati di Terna relativi al 2020 sulla produzione di energia elettrica in Italia per fonte, su un totale di 280,5 TWh di elettricità riportano che  269 TWh sono stati generati dai produttori (92,8%), mentre 20,3 TWh dagli autoproduttori (7,2%). L’energia termoelettrica  ha coperto il 66,7% della produzione di energia elettrica, seguita dall’energia idroelettrica con il 17,6%, dall’energia fotovoltaica con l’8,9% e dall’energia eolica con 6,7%. Ed è su quest’ultima che vogliamo soffermarci perchè se è vero che è la quota minore è altrettanto vero che è quella che avrebbe potuto essere molto più avanti se l’ostacolo principe all’imprenditorialità di questo paese – la burocrazia – non l’avesse fermata circa dieci anni fa.

Un fatto su tutti: dal 2017 ad oggi ci sono progetti per l’eolico presentati per circa 9 mila Megawatt. Tutti hanno avuto parere negativo dalla Sovrintendenza dei Ministero della Cultura. Se si potessero sbloccare anche solo la metà di quesi, già dal prossimo anno l’Italia sarebbe in grado di provvedere in larga parte al suo sostentamento energetico, riducendo una buona quota del gas. 

“Su 4 progetti che oggi vengono avviati 2 non arrivano in fondo per mille motivi che però non hanno a che fare col fatto che sono fatti male, non sono ben finanziati ecc. Ma perchè in cinque anni a mezzo, ripeto cinque anni e mezzo, può succedere di tutto. Per esempio che i progetti, gli altri 2 dei 4 iniziali, vengano decurtati del 50/60 per cento della loro potenza, da 50 megawatt a 23 per esempio. Ed allora non tutti gli imprenditori riescono a farcela“. Chi parla è Simone Togni, giurista, presidente dell’ANEV, Associazione Nazionale Energia del Vento.

ANEV ha le cifre del comparto che sono importanti: ad oggi sono stati installati 11 gigawatt in tutto il paese che producono circa 20 tetrawatt. Secondo i piani per le rinnovabili dovrebbero essere 19 gigawatt per una produzione di 40 tetratwatt, passando così da circa il 7% al 13,15%. La produzione di energia eolica oggi ci fa risparmiare l’emissione di circa 13 milioni di tonnellate di Co2 e 24 milioni di barili di petrolio all’anno. Nel 2030 queste cifre dovrebbero essere più che raddoppiate: 27 mlm di tonnellate di Co2 e 50 milioni di barili sempre all’anno, ovvero la metà più o meno di quanto abbiamo importato nel 2020. E se tutto andasse come si deve dai 16 occupati di oggi, il settore dell’eolico nel 2030 dovrebbe arrivare a contarne circa 60 mila.

Togni che vuol dire cinque anni e mezzo?

“E’ il tempo medio di attesa da quando un progetto viene presentato a quando si può premere il bottone per iniziare a far funzionare l’impianto eolico. Tempo medio, con punte anche di sette anni. Durante i quali – per tornare a quei due che non arrivano fino in fondo – capita che l’impianto che è stato progettato diventi obsoleto perchè magari quel modello di macchina è uscito di produzione. In Europa il tempo si abbassa a circa un anno e mezzo per cui l’imprenditore è invogliato ad investire perchè sa che dopo 18 mesi più o meno il suo investimento comincerà a produrre energia e ritorno economico”.

rinnovabili
Simone Togni-Presidente ANEV @Ufficio Stampa ANEV

Ma è vero che noi eravamo pronti già dieci anni fa anzi che eravamo avanti a molti paesi europei sull’eolico?

“Verissimo, ma finora abbiamo raccontato solo una parte della verità. Perchè mancano ancora due pezzi importanti. Il primo: per avere l’autorizzazione a realizzare un impianto eolico si deve chiedere ed ottenere il parere di circa 48 tra enti pubblici, associazioni ambientaliste, comitati di quartiere o del luogo. Una volta era necessario il giro delle sette chiese cioè andare a parlare con ognuno di questi e quindi investire per non dire altro, del tempo infinito. Dal 2003 con la Direttiva Europea sulla Procedura Unica Semplificata queste consultazioni venivano svolte all’interno della conferenza de servizi dove un solo soggetto parlava con tutti gli altri e poi rispondeva all’imprenditore direttamente. Ma non andava bene nemmeno quello quindi oggi si parla di nuovo con tutti e 48 – ma in alcuni casi siamo arrivati anche a 57 – sia pure all’interno del contesto della conferenza dei servizi.”

E il secondo problema?

“Un imprenditore parla con tutti i soggetti, ottiene 47 pareri positivi – anche quello della Marina Militare necessario per realizzare un cavidotto in relazione al fatto che prima di tutto bisogna fare una ricerca delle mine eventualmente ancora rimaste nel sottosuolo – ma l’ultimo soggetto, quello che fin all’ultimo non si è visto e sentito dice no. E boccia tutto. La Sovrintendenza del Ministero della Cultura. Con le sue varie sedi territoriali. Il nocciolo della questione è questo: la Sovrintendenza secondo le direttive europee deve esprimersi nei casi in cui il luogo prescelto per l’impianto sia sottoposto a vincoli paesaggistici. Ma la Sovrintendenza risponde che poichè la Costituzione Italia dice che il paesaggio è sottoposto a tutela, ecco che ritiene di non dover tenere conto dell’Europa e blocca tutto. La cosa non si può risolvere a maggioranza: tre Ministeri dicono sì uno dice no quindi va portata all’attenzione della Presidenza del Consiglio che a sua volta la mette sul tavolo del Consiglio dei Ministri che decide, autorizza o meno i progetti. Ecco anche perchè arriviamo a cinque anni e mezzo se non di più”.

Soluzione? L?Anev come tanti altri attori interessati chiedono subito lo sblocco di alcuni di quei progetti da 9 mila megawatt di cui abbiamo scritto all’inizio. E nello stesso tempo una finalmente radicale diminuzione dei tempi di attesa per l’autorizzazione attraverso lo sveltimento dei tempi di attesa, che in effetti si potrebbero dimezzare. Anche perchè oggi produciamo – è la sintesi delle cifre appena riportate –  attraverso l’eolico il 7 per cento dell’energia che ci serve, entro il 2030 dovremmo arrivare al 25% ed insieme al fotovoltaico al 70%,  ma se ne parlerà nel 2040 visti i chiari di luna – per poi arrivare finalmente al 100 per cento negli anni a venire.

Tags: ANEV Associazione Nazionale Energia del VentoburocraziaeolicorinnovabiliSimone Tognisviluppo sostenibile
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