Non sono più i tempi del contratto tra Lega Nord e Russia Unita, il partito di Vladimir Putin. Né la fase in cui Giorgia Meloni elogiava, nel suo libro, il modello sociale della Russia o quella in cui Silvio Berlusconi tesseva le lodi del presidente russo. Ma che la destra italiana abbia una posizione molto prudente nei confronti del Cremlino è evidente nei fatti. Tanti silenzi e dichiarazioni misurate con il bilancino confermano che la posizione è distante da quella del governo, decisamente più critica nei confronti di Mosca. E, paradossalmente, Giorgia Meloni – che è all’opposizione – appare come la leader di destra più schierata nella critica a Putin.
Lega russa
Era il 2017 quando Matteo Salvini sottoscrisse un accordo con Russia Unita, della durata di cinque anni. Quel documento è finito nel dimenticatoio per anni fino alla recente scadenza, passata in cavalleria: non sono stati prodotti atti ufficiali di disdetta. La motivazione, secondo la versione del partito, è che quella questione riguardava la Lega Nord, il soggetto politico poi sostituito dalla Lega per Salvini premier. Al netto degli aspetti burocratici, resta la vicinanza politica spesso ostentata e la promessa di scambiarsi informazioni. E oggi Salvini cosa fa? È andato in “missione” (resta ignoto per conto di chi) al confine tra Polonia e Ucraina, rimediando una brutta figura nella città di Przemysl, con la maglietta esposta dal sindaco. Schermaglie mediatiche.
Un gesto simbolico che ha cambiato il profilo di Salvini, ora caratterizzato da un profilo pacifista, autore di una svolta disarmista e di sicuro disarmante, visto che proprio lui è stato il principale sostenitore della legittima difesa sempre. Quindi dell’uso delle armi per difendersi da un furto. Insomma, niente armi per difendersi da un’aggressione ma pistole e fucili per respingere eventuali ladri. Una tesi originale. Così sui social salviniani la guerra in Ucraina è diventata una questione secondaria, si parla di studenti che imbrattano i bagni delle scuole, della sicurezza dei cittadini. E torna la gogna dell’immigrato che commette qualche reato. Una sorta di ritorno alle origini. Che spinge nelle retrovie il tema della guerra.
L’amico Putin

E che dire poi di Silvio Berlusconi? Il leader di Forza Italia per settimane ha taciuto sull’aggressione russa all’Ucraina. Ha mandato i suoi vice, su tutti Antonio Tajani, a ribadire la posizione atlantista del suo partito. L’ex presidente del Consiglio ha inevitabilmente avvertito una certa difficoltà a condannare apertamente “l’amico Putin”, che per lui era una sorta di fratello, un sincero democratico molte volte frainteso.
Non è satira, ma il Berlusconi-pensiero propugnato fino a poche settimane prima dell’attacco ordinato dal Cremlino. Così, nonostante la condanna espressa dagli azzurri, ci sono ancora prese di posizioni surreali, come la richiesta alla Russia di punire i responsabili del massacro di Bucha. Già, si può immaginare che Putin e i suoi generali vadano alla caccia di questi brutali assassini, punendoli per le loro malefatte. Roba che farebbe ridere se non fosse una tragedia.
Meloni e l’unità nazionale
Infine, c’è Meloni. Dall’opposizione ha una postazione quasi privilegiata: può ricoprire il ruolo di anello di congiunzione dell’unità nazionale. Tuttavia, Fratelli d’Italia – dietro lo scudo di voler pensare all’economia italiana – ha assunto una posizione più soft sulle sanzioni. Come l’ultima dichiarazione della leader del partito sulla necessità di continuare a importare il gas dalla Russia. Un cerchiobottismo che può valere una sostanziosa crescita nei consensi: gli italiani sono sempre più preoccupati dagli effetti del conflitto sulla propria condizione economica. E Meloni lo ha compreso bene, cercando di intercettare questo crescente malcontento.