Nelle ultime settimane lo sguardo del mondo politico e non è rivolto al Quirinale. Da parte delle opposizioni, si guarda a Mattarella, garante della Costituzione, come all’ultimo presidio di resistenza istituzionale contro quella che è considerata la deriva sovranista e xenofoba della maggioranza gialloverde.
Si tratta però di una interpretazione impropria del ruolo del Colle, che troppo spesso sconfina nel tentativo di tirare per la giacca la Presidenza della Repubblica. Un approccio che denuncia lo stato di impasse delle opposizioni, che sia in parlamento sia nel Paese stentano a trovare una strategia.
La Costituzione prevede infatti che il Presidente firmi le leggi che vengono sottoposte al suo esame, a meno che non vi scorga palesi elementi di incostituzionalità. Laddove l’incostituzionalità non venga ravvisata come lampante, il Presidente deve porre la sua firma. Sarà poi la Corte Costituzionale a pronunciarsi in merito, nei modi e nei tempi previsti dalla Costituzione. Diversamente si tratterebbe di un atto politico, con Il Colle che si sostituisce alla Corte. Si tratterebbe di una grave violazione proprio di quella Costituzione che si vorrebbe difendere.
“Conta la Carta, non le mie idee”, ha precisato Mattarella in risposta a uno studente che gli ha chiesto come si comporta di solito davanti a un provvedimento che non condivide. Parole che dovrebbero far riflettere quanti vorrebbero vedere nella Presidenza della Repubblica una sorta di supplenza della caotica e inefficace opposizione parlamentare.
Un approccio adeguato è invece quello del Presidente della Toscana Enrico Rossi. In appoggio alla protesta dei sindaci, ha promosso un ricorso alla Corte costituzionale, imperniato sulla difesa del diritto alla salute dei migranti, messo a repentaglio dal decreto sicurezza, in violazione della Carta costituzionale. Sulla scia dell’iniziativa del governatore della Toscana si sta muovendo anche la Calabria e l’Umbria.
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