Impakter Italia ha parlato con la Dirigente infermieristica di un importante nosocomio del nord Italia che ha raccontato come è cambiata la vita dentro gli ospedali da quando due anni fa, il Covid ha fatto la sua comparsa. Più che quello che non ci dicono, come è stato nel caso della biologa che ha sciolto tanti dubbi e questioni irrisolte, in questo post troverete le cose che non sappiamo perchè nessuno entra più negli ospedali a meno che non sia un malato. Ed oltre al diritto alla salute, qui si tratta anche di diritto del lavoro, entrambi oggetto di un obiettivo dell’Agenda Onu 2030. E questo nel giorno in cui gli infermieri hanno manifestato in tutta Italia per le condizioni di lavoro alle quali sono stati costrett in questi 22 mesi.
“C’è un clima irreale. Nessuno era preparato ad una cosa del genere, nemmeno chi come come me dopo anni ed anni di servizio pensava di aver visto tutto. Non eravamo pronti alla gente in fila fuori dei Pronto soccorso o a quelli che ci chiedono di assicurargli che dopo il vaccino non si muore. Soprattutto non eravamo pronti a tutti questi morti a questa sofferenza che ha travolto anche noi. Non erano pronti i giovani infermieri che da un giorno all’altro hanno dovuto fare i conti con loro stessi e con malati così particolari e con tanti decessi uno dietro l’altro. D’altronde sono stati mandati allo sbaraglio…”
Che vuol dire allo sbaraglio?
“In Italia mancano infermieri e non vengono assunti chissà perchè. Con l’emergenza Covid c’è stata qualche assunzione di giovani che però non avendo esperienza si sono trovati in prima linea dal giorno alla notte. Ancora l’altro ieri una collega che ha qualche anno di servizio ma è ancora giovane mi ha detto di aver passato la peggior nottata della sua vita perchè un paziente ha avuto un attacco respiratorio, sono riusciti a rianimarlo per un pò ma poi è morto. Era sconvolta. Figuriamoci ragazze e ragazzi più giovani. Anche perchè i malati di Covid sono particolari, con questi caschi in testa, la loro solitudine perchè nessuno li può visitare. Fa impressione. O qualcuno pensa che noi infermieri non abbiamo cuore ed emozioni.?”

Le assunzioni hanno migliorato la questione del personale infermieristico?
“No. Primo perchè non sono state abbastanza da coprire il fabbisogno nazionale. Secondo perchè passata l’emergenza nei grandi centri, molti di loro sono tornati a casa loro svuotando di nuovo gli ospedali delle grandi città. Non è una critica alla scelta che hanno fatto, solo una constatazione. E poi c’è il fatto che con la questione dello standard dell’accreditamento del personale infermieristico, ogni Regione ha varato una legge sua. Qui da noi per esempio vale che ogni 30 pazienti, 2 infermieri a turno. Ma si può? Si possono assistere le persone contando i minuti? Con tutto quello che c’è da fare, quale che sia il reparto. Oppure: in rianimazione c’è un infermiere ogni 2 pazienti. Ma se un paziente sale e torna al reparto ecco che quel tipo di assistenza decade improvvisamente. E non è che tutti tornano subito autonomi. Un paziente ha bisogno di una carezza, di una parola, di essere messo comodo di essere girato o magari bisogna cambiargli il lenzuolo o il cuscino oltre che prendere le medicine o stare attaccato ad un cubo. Invece bisogna anche scrivere mille schede e centomila report che sono importanti ma che ci sottraggono dal rapporto umano col paziente che in molti casi è terapeutico quanto e più di una medicina. Ma se siamo così pochi come si fa?”
Come è cambiata la vostra giornata concretamente da quando c’è il Covid?
“Il lavoro è molto più faticoso di quanto era prima, direi in certe giornate è stato ed è ancora massacrante. Tutti fanno doppi turni perchè il lavoro da fare è tanto e quello che non riesci a fare al mattino lo devi fare nel pomeriggio, per esempio muovere un paziente. Ma questo comporta tempi più lunghi, le degenze si allungano ed i costi per il Servizio Sanitario Nazionale crescono a dismisura. La gente poi non può vedere e non sa quello che facciamo e qualcuno ci critica pure. Mi rendo conto che non vedere il proprio familiare è una sensazione bruttissima ma anche per noi è una grande fatica. Il Covid ha compromesso la nostra emotività. Quando guardi negli occhi un paziente grave e non riesci più a trasmettere la speranza che tutto vada bene e soprattutto leggi nei suoi occhi il terrore…in quel momento capisci veramente che nonostante i tuoi sforzi il Covid sta vincendo”.