Giuseppe Conte pacifista, Matteo Salvini neneista, Giorgia Meloni convertita americanista. E Silvio Berlusconi chissà. Un po’ atlantista e un po’ nostalgico putinista, dei bei tempi andati in cui il presidente russo era “un amico”, un “fratello minore”. La guerra in Ucraina, oltre ai disastri provocati, sta riscrivendo la geografia politica italiana, disfacendo le vecchie alleanze e riavvicinando litiganti che apparivano inconciliabili. Un esempio su tutti è il rinnovato feeling tra il segretario del Pd, Enrico Letta, e il leader che lo sfrattò da Palazzo Chigi, Matteo Renzi. Non è da meno l’implicita sintonia tra Conte e Salvini.
Il Conte pacifista
Ma andiamo con ordine, che di questi tempi è un’operazione alquanto complicata. Spicca su tutto la svolta disarmista di Conte. L’ex presidente del Consiglio, a capo del Movimento 5 Stelle, rappresenta l’ala più pacifista dell’intero Parlamento, scavalcando a sinistra anche Roberto Speranza, appena rieletto al comando di Articolo Uno, piccolo partito che rappresenta la spina dorsale del gruppo parlamentare di Leu.
Le posizioni contiane sono molto più vicine a quelle di Nicola Fratoianni (segretario di Sinistra italiana) che a quelle del Pd. L’ultimo esempio arriva dal suo netto rifiuto all’invio di armi offensive all’Ucraina. Ha chiesto al presidente del Consiglio, Mario Draghi, un chiarimento su questo punto. Altrimenti? Conte è pronto a lanciare un nuovo penultimatum. Uno dei suoi marchi di fabbrica.
Salvini e la guerra che… non c’è (sui social)

(Credit: Screenshot video Senato)
Non distante dall’ultra pacifismo di Conte, anche al costo di sembrare un po’ freddo con il sostegno al governo di Kyiv, c’è la Lega di Matteo Salvini, schierata – seppure informalmente – sulla linea ribattezzata del neneismo. Dunque, né con Putin né con la Nato. Per questioni di carattere diplomatico non è possibile dirlo in maniera chiara. Ma il comportamento sui social del leader leghista è significativo: dall’orizzonte dei suoi post è praticamente sparito qualsiasi riferimento al conflitto in Ucraina. Parla di tutt’altro, quasi mai di guerra, pur di non biasimare la strategie del suo ex (?) idolo Putin. Di contro, la sua grande avversaria Meloni, anche lei un tempo estimatrice della politica russa, si sposta su un americanismo spinto, sull’adesione alla linea intransigente nei confronti del Cremlino.
Sono lontani i tempi – quelli dell’ultima campagna elettorale per le Politiche – in cui chiedeva un allentamento, anzi la cancellazione, delle sanzioni a Mosca. L’unico distinguo che fa, riguarda la necessità di tutelare gli interessi italiani. Per questo è contrario all’embargo sulle importazioni del gas russo. Nell’universo del centrodestra, c’è poi Berlusconi, inizialmente ammutolito dall’invasione dell’Armata russa in Ucraina. Dopo aver ritrovato la favella, il fondatore di Forza Italia si è risintonizzato sulla strategia perseguita dai partner del Partito popolare europeo, manifestando tutta l’umana delusione per il tradimento dell’amico di giochi, Vlad.
Letta non sfila l’elmetto

Nel centrosinistra, il quadro è – almeno per una volta – è più lineare. Letta ha collocato il Pd al fianco di Volodymyr Zelensky, senza tentennamenti di sorta e sfidando gli strali dell’elettorato più a sinistra, che ora ha giurato astio eterno verso i dem. Poco male. Il segretario non si lascia scalfire sulle ironie di chi lo riporta con l’elmetto (riciclando una foto di quando era presidente del Consiglio). Il supporto totale all’esecutivo di Draghi, vicino alla politica dell’amministrazione Usa, è fuori discussione.
Tanto che il leader di Azione, Carlo Calenda, manifesta un grande apprezzamento per il coraggio mostrato dal Pd, staccatosi dall’antica patologia del maanchismo (quel tentennamento che spinge a dire tutto e il suo contrario) di veltroniana memoria. E quasi quasi proprio Calenda è quasi più a sinistra – si fa per dire – di Letta. Così come sembra meno fervente nel sostegno alla “dottrina Biden”, Matteo Renzi, forse deluso dalla constatazione che è tramontata la sua ipotetica candidatura alla guida della Nato (si mormora che lui davvero ci credesse). Il fu Rottamatore invoca i negoziati, evocando Angela Merkel o chi per essa come figura per una mediazione. Intanto plaude, in pubblico ma anche in privato, alla posizione lettiana. L’uomo a cui rifilo l’ormai leggendario stai sereno prima di sostituirlo al governo. La guerra e pace all’italiana, insomma, conservano dei tratti da commedia. Nonostante la gravità dei fatti.