Ergogan vede Lavrov ma è un nulla di fatto per lo sblocco del grano ucraino, tenuto “in ostaggio” dei Russi nel porto di Odessa. La visita turca del ministro degli esteri russo non ha sortito conseguenze. E lo scetticismo trapelato da subito da parte di Kiev si è poi dimostrato più che motivato. Eppure, quest’ultimi sono stati giorni di crescenti aspettative in tal senso, rinforzate da un lato dal rinnovato attivismo di Erdogan, e dall’altro dall’intenzione della Russia di scrollarsi di dosso il sospetto di voler utilizzare la minaccia della carestia per ricattare i Paesi occidentali e costringerli a togliere le sanzioni contro Mosca, adottate in risposta all’invasione dell’Ucraina. Sospetto che è diventato una certezza nelle ore successive, ossia quando il Cremlino ha detto chiaramente che lo sblocco della situazione era legato alla dismissione delle sanzioni contro la Russia.
Prima della guerra, l’Ucraina era un grande esportatore di grano, mais e olio di girasole. Ma le spedizioni sono state bloccate da quando la Russia l’ha invasa alla fine di febbraio, provocando l’impennata dei prezzi dei generi alimentari in tutto il mondo. Ora, i paesi del Medio Oriente e dell’Africa dipendono dalle esportazioni ucraine. Tutto questo fa aumentare in modo esponenziale i rischi di una gravissima crisi alimentare.
La Turchia al centro della scena
Su richiesta delle Nazioni Unite, la Turchia si è offerta di scortare i convogli marittimi dai porti ucraini. Il Presidente turco Erdogan ha dunque preso al balzo questa occasione per tornare in corsa da protagonista nella difficile partita dei negoziati, ormai in stallo da mesi. Già precedentemente la Turchia aveva accolto i ministri degli Esteri russo ed ucraino il 10 marzo e poi le delegazioni di entrambi i paesi il 29 marzo. Circa un mese dopo, Erdogan aveva coordinando uno scambio di prigionieri tra Stati Uniti e Russia. Infine ha incontrato il presidente ucraino Zelensky.
La strategia di Erdogan
Tra i motivi di questo iperattivismo diplomatico di Erdogan, ci sono sicuramente i profondi legami economici che legano Ankara a Mosca. E rimanendo in ambito di politica estera, pesa certamente anche la permanente fase di stallo in cui si trova la richiesta di adesione all’UE da parte della Turchia. Erdogan si muove dunque su due binari, oscillando tra la condanna dell’invasione russa a un atteggiamento comunque amichevole con Putin. Un dualismo che rispecchia anche la spaccatura interna all’opinione pubblica turca sulla collocazione geopolitica del paese. Infatti, secondo un sondaggio di inizio anno, il 39,5% degli intervistati opta per legami più stretti con Russia e Cina mentre il 37,5% preferisce UE e gli Stati Uniti.
Nelle ultime settimane poi è emerso un nuovo elemento che spinge presidente il turco a giocare in attacco in politica estera: la richiesta ufficiale di ingresso nella NATO da parte di Finlandia e Svezia. Un’ipotesi a cui Erdogan ha opposto un secco rifiuto, annunciando un veto che ad oggi risulta granitico. “Stiamo seguendo gli sviluppi. Al momento non abbiamo una posizione favorevole sulla questione della Svezia e della Finlandia”, ha detto il leader turco, motivando col fatto che “i paesi scandinavi ospitano gruppi terroristici”. Nelle settimane successive la posizione è rimasta inalterata. Tuttavia, è opinione comune degli analisti che il presidente turco stia solo alzando il prezzo politico. In questo contesto, giocare un ruolo di primo piano nelle trattative tra Mosca e Kiev darebbe a Erdogan un autorevolezza internazionale che a sua volta egli potrebbe impiegare nella sua trattativa con gli alleati NATO sull’ingresso di Finlandia e Svezia.
A tutte queste motivazioni di politica estera, se ne aggiunge una di politica interna: la candidatura alle presidenziali del prossimo anno. “Lasciatemelo dire qui. Tayyip Erdogan è il candidato dell’Alleanza popolare”, ha detto lo stesso presidente turco parlando in terza persona. L’annuncio è stato fatto a una manifestazione politica a Smirne. Si prospetta un’alleanza tra il suo partito conservatore al governo, l’AKP, e il partito di destra MHP. Come abbiamo visto e vediamo ancora con il “telefonico” Macron, la politica estera, anche se portata avanti a vuoto, senza alcun risultato concreto, è comunque un palcoscenico perfetto per fare passerelle elettorali a scopo domestico.