La Fao ha lanciato un nuovo allarme sul rischio di una gravissima crisi alimentare globale. Lo aveva fatto due anni fa, quando scoppiò la pandemia da Covid-19, tornando in queste ore sull’argomento a fronte del prolungarsi della guerra in Ucraina. Maximo Torero, vicedirettore generale per il Dipartimento per lo sviluppo economico e sociale della Fao, in un intervento ha sottolineato come, osservando i listini internazionali dei prezzi dei cereali dell’ultima settimana (il grano è quotato quasi 80 euro tonnellata in più, la farina 100 euro/t in più, il mais 87 euro/t in più), il rischio di una crisi alimentare è altissimo. In particolare per i paesi più poveri, ma anche per noi italiani ed europei. Che l’assalto ai supermercati di questi giorni, per accaparrarsi pasta e farina, sia esagerato, così come capitò due anni fa con il primo lungo lockdown, ci sta. Ma il grido d’allarme è concreto se il conflitto proseguirà, perché i dati non mentono.
La situazione globale
Le sanzioni imposte da UE, GB e USA alla Russia, il conseguente blocco delle esportazioni di materie prime da parte dei russi e l’impossibilità di far uscire le stesse dall’Ucraina, sta già provocando seri problemi. Secondo un’indagine condotta dalla redazione di Quartz, affidabile testata giornalistica on line statunitense, la Russia esporta il 30% dei cereali a livello mondiale, con Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Bangladesh e Pakistan tra i paesi che dipendono di più da queste forniture. L’Ucraina, invece, è il quarto esportatore alimentare al mondo, e rappresenta circa il 20% delle importazioni di grano dell’Unione Europea. Conti alla mano, se perdurasse per mesi il blocco di queste materie prime, la poca reperibilità manderebbe davvero in crisi il sistema alimentare di gran parte del pianeta, Europa per prima. Anche perché gli altri paesi che le producono, già in questa fase hanno iniziato a bloccare le esportazioni, come ad esempio sta facendo l’Ungheria. Il Cai-Consorzi Agrari d’Italia- fa sapere che “l’Italia potrebbe avere un problema di approvvigionamento di grano tenero e mais se l’Ungheria, da cui importa quasi il 30% di grano tenero e il 32% di mais, confermasse l’intenzione manifestata in questi giorni di limitare le esportazioni per coprire il fabbisogno interno e far fronte ad una crisi più lunga”. Per l’Italia, tutto questo rappresenta un gran problema, perché, come affermato da Cosimo De Sortis, presidente di Italmopa, l’associazione che raggruppa le aziende che lavorano grano tenero e grano duro in Italia “…per avere pasta a scaffale nei supermercati tutto l’anno, dobbiamo necessariamente importare. Se utilizzassimo solo la produzione italiana, troveremmo la pasta in vendita solo quattro mesi all’anno”.
La proposta
Soluzioni immediate per far fronte alla mancanza di forniture, che ormai sembra certo scarseggeranno, non esistono. Ma iniziare a ragionare su delle alternative è d’obbligo, anche perché ormai è acclarato come il sistema mondiale non regga più così com’è. Il professore Mauro Agnoletti, presidente del Master internazionale dell’Università di Firenze e Coordinatore scientifico dell’Osservatorio Nazionale sul Paesaggio Rurale del Mipaaf, ha lanciato una proposta interessante, quella di tornare a coltivare quelle terre abbandonate perché rendevano poco. “La guerra fa Ucraina e Russia – ha dichiarato il professore – ha scatenato una crisi con ripercussioni a livello globale non solo rispetto alle fonti energetiche, ma anche alle risorse alimentari. La concentrazione dei flussi di mercato delle materie prime di base, cereali in primis, nelle mani di pochi gruppi economici internazionali e in aree limitate, genera l’aumento dei costi di generi che sono alla base della alimentazione di molte popolazioni. Appare quanto più necessario, dunque, ripensare un modello di sviluppo che ha portato negli ultimi decenni all’abbandono di moltissimi territori un tempo coltivati in molte parti del mondo, in quanto non competitivi in termini economici rispetto alla produzione industriale globalizzata dell’agricoltura”.