Partendo dal significato della parola Donbass, abbreviazione di “Donets coal basin”, ossia bacino di carbone di Donets, si capiscono già i motivi. Le ultime stime parlano di riserve di carbone di circa 60 miliardi di tonnellate, e anche se l’estrazione annuale si sia ridotta da cinquant’anni ad oggi, l’area rappresenta ancora una tra le grandi riserve del fossile dell’Ucraina. E’ una regione che da otto anni vive un conflitto permanente tra separatisti russi e nazionalisti ucraini, un altro fattore del decremento di estrazione del carbone che, prima dell’inizio della disputa, insieme all’altra oblast di Luhansk contava per quasi un terzo del totale delle esportazioni dell’Ucraina. Una risorsa preziosa, anche considerando le immense riserve della Russia con i giacimenti negli Urali, in Siberia e anche nelle aree limitrofe Mosca. La regione contesa, ha altre preziose risorse, come ad esempio enormi riserve di gas di scisto, il gas intrappolato in uno strato di rocce del quale gli esperti internazionali ipotizzano ci siano nel mondo riserve tali da ridisegnare lo scenario energetico del futuro. Riserve che si trovano nello specifico nel giacimento di Yuzivska, sfruttato ampiamente fino al 2014 con l’obiettivo di diminuire la dipendenza dal gas russo. Anche le attrezzature per altoforno e la lavorazione dell’acciaio sono due punti forti della regione con produzione di binari e vagoni ferroviari, macchine per scavare tunnel, trattori, veicoli militari, locomotive, mietitrici e macchinari per il taglio dei metalli.
E non finisce qui la lista dei beni prodotti, perché si aggiunge anche la produzione di televisori, lavatrici, frigoriferi e congelatori, una serie di beni di consumo necessari per la popolazione. Beni che per il 50% vengono esportati, di cui un quarto hanno come destinazione la Russia. Ora, se è pur vero che dall’inizio della disputa nel 2014 la regione si è impoverita e la produzione industriale è calata, le potenzialità del Donbass sono enormi e inglobarla nel proprio territorio per i russi significherebbe far ripartire le fabbriche a pieno regime con benefici economici non proprio da sottovalutare per una nazione che economicamente è in crisi ormai da anni.
La Russia, fin dall’epoca degli Zar si è considerata un impero, sia per estensione che per popolazione. Ma un impero fatto da contadini e senza vocazione industriale. In più, non avendo confoni naturali ha sempre cercato di espandersi per allontanare il pericolo di invasioni. L’espansionismo sovietico è continuato, vorace sotto il regime comunista. Dopo la caduta del muro di Berlino l’Unione delle repubbliche socialiste sovieiche si ritrovò ad essere solo la Russia. Ed ecco il sogno velleitario di Putin: farla tornare impero attraverso una politica di espansione e di rapina. E il Dombass minerario e produttivo gli è sembrata una preda facile.
Il bacino del Donec, il fiume della Russia europea meridionale e dell’Ucraina nord-orientale, conosciuto come la regione del Donbass, è tra i motivi scatenanti dell’invasione russa in Ucraina. Il governo russo non lo ha mai nascosto sin da prima dell’invasione, dichiarando a più riprese che non si fermerà finchè non avrà ottenuto il riconoscimento del Donbass come regione russa. E che nel Donbass i nazi-ucraini da anni uccidono i residenti-ribelli russi. E ancora che quella non è terra loro storicamente, ma russa. Sull’altro fronte, il governo ucraino non ha nessuna intenzione di cederlo: “L’Ucraina non si fermerà fino a quando non avremo liberato i nostri territori nel Donbas, in Crimea, e fino a quando la Russia non avrà pagato tutti i danni causati in Ucraina”, ha dichiarato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. Anche se con i nuovi negoziati, Zelensky sembra essere più cauto, accettando nell’eventuale compromesso per la tregua di cedere su quella regione. Ma sappiamo che in guerra le dichiarazioni vengono utilizzate strategicamente, e spesso si dice qualcosa pensando l’opposto per prendere tempo e confondere gli avversari. La domanda che ci siamo posti è: perché è così importante il Donbass?