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“Cop26? Burocrazia climatica, il pianeta può diventare malato terminale”

by Stefano Iannaccone
28 Ottobre 2021
in 2030, Ambiente, Primo Piano, Salute
Luca Mercalli Cop26

Luca Mercalli

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Poche speranza sulla Cop26 di Glasgow: “È burocrazia climatica”. Un approccio che, come ha denunciato Greta Thunberg, sul clima ha portato solo a “una grande bla-bla-bla negli ultimi 30 anni”. Ed è forte la preoccupazione espressa: se entro il 2030 non agiremo, il paziente, ossia il nostro pianeta, “diventerà un malato terminale”. Il climatologo Luca Mercalli, in questa intervista a Impakter Italia, usa parola nette per giudicare l’operato sull’emergenza climatica. E non intravede soluzioni salvifiche dalla Cop26.

Cosa servirebbe per parlare di una Cop26, come l’evento in grado di rappresentare un punto di svolta sulla crisi climatica?
“Le aspettative sono alte. Ma nella realtà è molto difficile che ci sia una risposta efficace: queste conferenze sono spesso incontri di burocrazia climatica. Come tutte le altre Cop è soggetta a una grande quantità di viscosità interne, di veti incrociati tra diversi Stati. E non c’è una grande tensione neanche tra i cittadini. Sono quelle Conferenze che si collocano su un piano molto astratto. Le persone nemmeno capiscono cosa si faccia. Ci saranno decisioni su questioni tecniche, non sul clima ma sul diritto internazionale”.

A che punto siamo sui limiti indicati per contenere l’aumento delle temperature?
“Molto male. Il contenimento di un grado e mezzo, dal punto di vista tecnico, è un obiettivo mancato, anche se continua a essere citato come limite. Potrebbe essere mantenuto se ci fosse in due anni una gigantesca spinta popolare, su scala mondiale, con una colossale riduzione delle emissioni. Dovrebbe essere una cosa di cui la gente parla al bar”. 

Clima tempeste
Foto di David Mark da Pixabay

Alquanto improbabile.
“A stento si parla ancora del Covid… mentre ricordo quando, durante la prima ondata, la gente era elettrizzata: non si parlava d’altro. E la pandemia è una questione facile da comprendere, mentre sul clima è molto più complicato, l’informazione è scarsa. Manca la giusta tensione nella società, esiste solo in piccole parti, nel mondo ambientalista e nei settori più informati. Per stare nel grado e mezzo, comunque, servirebbe quel sentimento della prima ondata verso il Covid”.

Quindi bisogna inevitabilmente elevare l’asticella delle temperature?
“Dobbiamo passare all’obiettivo successivo, fissato dagli Accordi di Parigi, i due gradi: sono l’aumento massimo che ci possiamo permettere per non arrivare alla catastrofe. Tutto quello che viene dopo renderebbe la vita difficile alle generazioni successive”.

Per dirla con Greta, c’è stato solo un bla-bla-bla sull’emergenza climatica?
“Greta ha assolutamente ragione, lo pensiamo tutti noi nel settore. È da 30 anni che si fa solo bla-bla-bla, esattamente dal 1992, quando è stata firmata la Convenzione sul clima delle Nazioni Unite. Non ci sono più scuse. Ma il clima è un problema tutto politico, da 30 anni c’è stata una presa di posizione internazionale: bisogna evitare un cambiamento climatico catastrofico. Da allora c’è stato un grande bla-bla-bla”.

Greta Thunberg
Greta Thunberg (Foto: screenshot discorso all’Europarlamento)

Eppure non sono mancati accordi significativi, da Kyoto a Parigi…
“Il protocollo di Kyoto è stato il primo tentativo internazionale di ridurre le emissioni. Non ha prodotto risultati visibili, ha coinvolto solo i Paesi ricchi, non quelli in via di sviluppo. La Cina era esclusa dal protocollo di Kyoto. È stato più un grande esperimento diplomatico. Adesso c’è l’Accordo di Parigi, che coinvolge tutti, ma con obiettivi volontari. In sostanza dice: ognuno faccia quello che può. Tutti insieme si dovrebbe fare una somma per contenere l’incremento delle temperature entro i due gradi”. 

Si parla di transizione ecologica e sviluppo sostenibile, ma in Italia si fa ancora la guerra alla plastic tax. Ravvisa una contraddizione?
“Il problema della plastica è pari a quello del clima. Stiamo riempiendo gli oceani e sterminando la vita ittica. Ed è simbolico che non abbiamo voglia di impegnarci in termini concreti. Se non riusciamo ad accettare una piccola tassa su un problema così evidente, non credo che riusciremo a fare in tempi brevi la transizione ecologica di cui si parla”.

Si propone insomma uno scenario pessimistico alla vigilia della Cop26?
“Fino al 2030 abbiamo ancora dei margini di miglioramento. Dobbiamo tenere presente che dopo quella data non c’è più spazio di manovra. Questi dieci anni sono cruciali per intraprendere la cura. Se poi il paziente non sarà curato, diventerà un malato terminale”.  

Tags: climaCop 26 Glasgowemergenza climaticaLuca Mercallisviluppo sostenibile
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