Nemmeno questa volta una donna arriva ai vertici delle Istituzioni. Alla Presidenza della Repubblica resta Sergio Mattarella, confermato per manifesta incapacità dei partiti a individuare un altro nome. La colpa non è del centrosinistra che non ha votato Elisabetta Casellati al Quirinale, al quinto scrutinio, né della scellerata gestione della candidatura di Elisabetta Belloni, attuale numero uno del Dis e indicata come possibile Capo dello Stato. Paradossalmente, in entrambi i casi, è stato sbandierato “l’essere donna”, come una condizione sufficiente per ottenere l’incarico. Non sono stati valutati altri fattori, a cominciare da quello numerico: dalla possibilità di ottenere i voti necessari per andare al Colle.
Rossella Muroni, deputata eletta con Leu e ora a capo degli ecologisti di FacciamoEco, ha sintetizzato bene il concetto: “Non serve che si parli di una donna, una di nome e una di cognome. Servono persone che garantiscano qualità e preparazione”. Così si torna al punto di partenza: l’esperienza per approdare ai vertici delle Istituzioni è legata alla possibilità di svolgere attività di primo piano. Da quel punto di partenza è più immediato provare quindi a conquistare l’incarico, al Quirinale come in qualsiasi altra Istituzione, non “purché sia donna”. A un certo punto, nella commedia quirinalizia, si parlava dell’opportunità, oggettivamente storica, quasi come se fosse un contentino. Al posto di farne un’operazione di facciata, insomma, serve qualcosa di semplice: dare le stesse opportunità di scalata al vertice. Senza farla apparire come una gentile concessione
Quirinale, e non solo
Il problema in Italia resta centrale: la scarsa presenza di donne nei ruoli apicali della vita politica. Un dato più di tutti aiuta a comprendere la situazione: nell’attuale governo le donne sono appena il 10%. Tra i Paesi mediterranei, solo la Grecia fa peggio con una rappresentanza femminile al di sotto del 4%. In Portogallo la cifra, tutt’altro che lusinghiera, si attesta all’11%, comunque leggermente più alto rispetto alla Penisola, mentre in Francia, dove pure c’è ancora da migliorare, il 20% della squadra di governo è composta da donne. La Germania resta un modello: l’esecutivo di Olaf Scholz è “equal gender” con una ripartizione perfetta degli incarichi ministeriali. Ecco che diventa plausibile immaginare una leadership femminile nei prossimi anni. Certo, qualche passo in avanti si intravede nella politica italiana, con l’aumento del numero delle capigruppo, che spesso è preludio a compiti politici di prim’ordine. Ma è ancora troppo poco.
Il messaggio europeo
Dall’Unione europea arriva una cartolina importante. Di recente è stata eletta presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, 43 anni, al posto del compianto David Sassoli. Così ha completato uno schieramento al femminile, visto che la presidente della Commissione europea è Ursula von der Leyen e al timone della Bce c’è Christine Lagarde. La sorpresa è che, nonostante il contrasto al gender gap sia una battaglia progressista, queste donne vengano da formazioni politiche di centrodestra. Un paradosso, che testimonia come la strada sia ancora lunga sulla parità di genere. E l’accesso alle leve di comando.