Si commentano i risultati, si valutano le implicazioni politiche e quindi sul prosieguo della legislatura. Come sempre, alla fine degli scrutini delle elezioni, si apre un dibattito politico ampio. Omettendo un elemento: l’affluenza nella giornata di domenica è stata del 42,2%. In pratica hanno votato quattro elettori su dieci, meno della metà. Certo, i sindaci saranno pienamente in carica, rappresentando l’intera popolazione.
Eppure non può sfuggire una riflessione: chi ha conquistato la guida dell’amministrazione, ha ricevuto il consenso di una sparuta minoranza. Perché il livello di astensionismo è al di sopra del livello di guardia ormai. Tanto per fare un esempio nel 2017, nei Comuni chiamati alle urne in questo mese di giugno, al secondo turno l’affluenza era stato del 46%, nel 2012 era del 51,4%. I dati, insomma, non mentono. Il calo rappresenta una costante della politica, in verità non solo italiana. In dieci anni, solo per i ballottaggi, la flessione è nell’ordine dei 10 punti percentuali, con la caduta ben sotto la soglia del 50%. E la sensazione che prima o poi si scivolerà sotto il 40%. La qualità della democrazia, inevitabilmente, risente della disaffezione dei cittadini, di chi sarebbe chiamato a scegliere i propri rappresentanti.
Affluenza in calo costante
Non basta nemmeno considerare che ballottaggio sia anche una competizione particolare, in quanto è una sfida secca, senza le liste dei candidati che attirano ai seggi gli elettori. Al primo turno di quindici giorni da, l’affluenza è stata del 54,7%, in linea con il voto dello scorso autunno, quasi sei punti in meno in confronto al 2017 quando è stato raggiunto il 60%, cinque anni prima addirittura l’affluenza si è attestata al 66,9%. Una differenza di oltre dodici punti che non può certo lasciare indifferenti.
A questo va aggiunto il tema dei referendum, che ormai non riescono a raggiungere la soglia del 50%+1, necessaria per renderli valide. Il 12 giugno, con i quesiti sulla Giustizia, è andato in scena solo un altro capitolo dello spettacolo che sta portando la partecipazione elettorale alla disintegrazione. Perché di questo passo delle minoranze decideranno le sorti politiche per delle maggioranze sfiduciate. E non è certo un bene per un Paese, a prescindere dalle forze politiche e dalle coalizioni che eventualmente beneficiano dell’astensionismo.